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#VOCI

Luigi Dariz

AUTORE

Elena Tartaglione

Il foraging, prima di diventare una tendenza, era una necessità, racconta Luigi Dariz. Soprattutto in luoghi “wild” ed estremi come Passo Giau, al di sopra dei 2200 metri, dove il bosco cede il posto a una grande prateria aperta e ventilata, senza impianti di risalita.

Qui, cinquant’anni fa, il padre Aurelio ha aperto il rifugio che porta il suo nome, a metà strada tra Colle San Lucia e Cortina d’Ampezzo, nel cuore delle Dolomiti. Oggi al rifugio “Da Aurelio” lo chef Luigi Dariz raccoglie erbe spontanee e porta avanti il “sapere della montagna”, come lo definisce: quello del nonno contadino, nato in un’epoca in cui non esistevano supermercati, trasmesso al padre Aurelio e poi a lui. La cucina del ristorante incorpora questa sapienza antica, e la rende attuale.

"Occorre rinnovarsi costantemente, trovare sempre nuovi modi per ridurre il proprio impatto sull’ambiente."

Qual è la tua idea di sostenibilità?
“Per quanto mi riguarda la identifico con la coerenza. Significa agire, nel proprio mestiere, con consapevolezza. Coerenza non significa staticità o ripiegamento sul passato. Al contrario: occorre rinnovarsi costantemente, trovare sempre nuovi modi per ridurre il proprio impatto sull’ambiente. Ed è importante anche studiare, informarsi, diffondere la conoscenza. È quello che proviamo a fare al ristorante. Ho integrato ciò che ho imparato in famiglia con quanto appreso ottenendo il patentino di raccoglitore di erbe spontanee. E oggi trasmetto questo sapere ogni estate, organizzando, con la preziosa consulenza dell’erborista Abrham Heinrich, due giorni di lezioni direttamente sul “campo” di Passo Giau. I turisti rispondono con grande entusiasmo.

Quali sono i tuoi comportamenti sostenibili?
Essere sostenibili richiede creatività e capacità di adattamento: le stesse qualità che ci permettono di fare una cucina d’autore, unica perché non replicabile. Usiamo sapori non standardizzati. Iniziamo a raccogliere i fiori appena arriva l’estate – una stagione molto breve a queste quote. In questa fase è importante non solo sapere cosa raccogliere, ma anche come: con rispetto e senso di responsabilità. Quindi senza esagerare, eradicare le piante o rovinare l’ambiente. Purtroppo, nel mondo del foraging, questo atteggiamento non è affatto scontato.

Nei prati raccogliamo il sedano selvatico, detto imperatoria, il crescione, l’erba cipollina, l’aglio orsino, l’alchemilla, il “Buon Enrico” chiamato anche spinacio di montagna, la piantaggine, il centonchio, l’ortica, la farfara e molto altro. Ci spingiamo anche qualche centinaio di metri più in basso, nel bosco, per prendere le gemme di abete, con cui realizziamo estratti e sciroppi balsamici. Abbiamo un alambicco, che usiamo ad esempio per l’olio di pino mugo, profumatissimo. Cerchiamo di stoccare il raccolto esiccandolo, trasformandolo in una pasta, conservandolo sott’olio o sotto forma di polvere, ricavandone l’olio essenziale. In alta quota la bella stagione dura molto poco, ed è anche per questo che gli aromi sono molto concentrati, i sapori sono intensi e marcati, come sa bene chi produce i formaggi di malga. Nascono così ricette particolari, come quella che identifico come il mio manifesto: spuma di patate con aglio orsino, olio di sedano selvatico, polveri di fieno e fiori edibili. È un prato intero raccolto in un piatto.

Infine, cerchiamo di ridurre il più possibile il nostro impatto. Stiamo seguendo le indicazioni di CHIC, Charming Italian Chef, associazione di cui facciamo parte, per limitare il più possibile l’utilizzo di materie plastiche. E quest’estate abbiamo una novità in arrivo, il nostro impianto idrico: potendo sfruttare la nostra sorgente d’acqua purissima diremo addio al trasporto su gomma e alle bottiglie – di plastica o vetro – che finora dovevamo portare fin quassù.

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