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#VITA

Un giorno nella magnifica conca

AUTORE

Silvestro Serra

Direttore Responsabile di Touring
Membro del Comitato Media

Su quel tracciato una volta si arrampicava, sbuffando, a vapore e poi elettrico, il trenino azzurro, o per l’esattezza il convoglio, di quel colore, della ferrovia delle Dolomiti.

Ora è una comoda stradina pedonale e ciclabile asfaltata che d’inverno si trasforma in pista di sci di fondo, in leggera pendenza verso Dobbiaco. A Cortina è una sorta di tangenziale se si vuole evitare “lo struscio” di corso Italia. Decido di prendere questa direttissima e incontrando solo nannies filippine con carrozzine hi-tech che accudiscono la futura jeunesse dorée, mi ritorna in mente la gloriosa avventura di quel trenino che dal 1921 fino al ’64 ha trasportato prima i soldati, poi i villeggianti e gli atleti delle Olimpiadi del 1956, dai 700 metri di Calalzo fino ai 1.224 di Cortina. Bastò un unico incidente, due morti e ventisette feriti nel ’60, per decretarne la definitiva scomparsa il 17 maggio del ’64.
Peccato perché ora mi sarebbe stato utile un passaggio in treno per tagliare la prima tappa della camminata lungo il fiume Boite, destinazione il rifugio Fanes, a 2.000 metri, nell’alpe di Fanes piccolo, sui tornanti di una vecchia mulattiera militare che collega il rifugio Pederù con Cortina. A Fiames, a quattro chilometri dal centro di Cortina, c’era infatti una stazione del trenino. Anche qui un piccolo souvenir. Proprio a Fiames si trovava anche il Sant’Anna, il piccolo aeroporto di Cortina. Dopo il lancio turistico seguito alle Olimpiadi Invernali del gennaio/febbraio del ’56 (il mitico bob a quattro di Eugenio Monti, speaker Rolly Marchi) si decise di costruire questo piccolo aeroporto incastonato nel fondo valle. Poi nel 1976 fu richiuso dopo tre incidenti mortali dei piccoli cessna e la vecchia pista di decollo di soli mille metri (in attesa di futuribili riaperture in sicurezza dell’aerostazione), è una piattaforma per feste, sagre, eventi spettacolari e allenamenti sportivi.

"Quello che mi colpisce ogni volta che vengo in questa valle è la bellezza della natura."

Ma un salto in centro l’ho dovuto fare comunque prima di partire. Prima alla Cooperativa, lo storico cuore commerciale (l’apertura risale al 1893) ma soprattutto regno dello shopping e passerella mondana. Lì si trova tutto, dal pane al latte, dagli elaborati e colorati vestiti ampezzani, “ra vécia” e “ra màgnes” (tanto amati dal clan di Marta Marzotto) agli sci, dalle mountain bike, all’abbigliamento sportivo. Io cercavo solo una giacca a vento leggera in caso di pioggia. La seconda tappa doverosa da Sovilla, altrettanto storica (dagli inizi del Novecento) libreria, centro culturale, sede di presentazioni, incontri e dibattiti con scrittori, e mostre di artisti, gestita con maestria e signorilità dalla famiglia Sovilla. A me servivano i giornali (sono ancora un fan della carta stampata). Ultima ma decisiva sosta per affrontare il cammino, quella alla pasticceria Lovat per una generosa colazione. Un’occhiata alle vetrine, con le immagini scattate dal compianto grande fotografo di montagna Stefano Zardini (anche io, nel mio piccolo, mi diletto nella fotografia) e finalmente riprendo la strada per Fanes.
Scarponcini, ancora quelli di cuoio con i lacci rossi, zainetto, fotocamera a tracolla, un vecchio bastone da pastore acquistato sull’altopiano montenegrino e di buon passo iniziamo, siamo in due, prima la passeggiata sulla pista ciclabile, poi la strada asfaltata, poi lo sterrato e infine i tornanti.
Il tempo di uscire da Cortina, di dare uno sguardo all’ex hotel des Alpes austriaco, trasformato già nel 1923 nell’ospedale Codivilla, caro ad Alberto Moravia e incubo e salvezza di tutti gli sciatori infortunati, e ci ritroviamo già soli. L’aria è tersa, il cielo blu, non si prevedono temporali. Abbiamo calcolato circa 13 km di salita costante senza strappi né ripide pendenze tra vasti boschi di abeti. Previste otto ore di cammino tra andata e ritorno. Vedremo.
Quello che mi colpisce ogni volta che vengo in questa valle è la bellezza della natura. Certo, siamo nel cuore delle Dolomiti, nel Parco Naturale. Ma qui sembra di stare proprio dentro una di quelle cartoline ritoccate color pastello. E questo paesaggio non è un Truman show ma è vero ed è in tre dimensioni. Silenzio, pace, lo scroscio dell’acqua nei ruscelli, lontani richiami di uccelli, campanacci di animali al pascolo. È tutto. Attraversiamo su un ponticello il Rio Felizon, ci fermiamo ogni tanto a prendere fiato accanto ai pascoli dove brucano placide mandrie di vacche, si intravedono ruderi di casermette austriache della Prima Guerra Mondiale.

Raggiungiamo Ponte Alto dove c’è una deviazione per le spettacolari cascate di Fanes. Volendo ci sarebbe la possibilità, tramite una impegnativa ferrata, di passarci sotto, ma non vogliamo. Non abbiamo le gambe allenate e preferiamo affrontare la parte forse più facile ma altrettanto impegnativa del sentiero madre.
Cominciano i primi e poi i tanti tornanti che risalgono implacabili verso la staccionata che separa il Veneto bellunese dall’Alto Adige. Finalmente dopo più un’ora di salita, il falsopiano. Sosta sotto gli alberi, bevuta dalla borraccia, sguardo alle dettagliatissime mappe del Touring. Sulla carta il peggio sembra essere passato. E in effetti quassù la montagna ci appare più favorevole. Siamo circondati da pratoni, sentiamo lo scorrere di un torrente, le gambe si rilassano, e la salita si trasforma magicamente in una passeggiata in piano, lunga ma piacevole. Dopo quasi un’altra ora, la vista del cartello Malga di Fanes grande è irresistibile. E così perdiamo un po’ di tempo a sorseggiare tè caldo e divorare fette di torte ai frutti di bosco, sdraiati sul prato avvicinati da robusti cavalloni avelignesi (Haflinger) curiosissimi.
Troppo tempo forse per raggiungere ormai la meta stabilita. Ma prima di tornare indietro decidiamo almeno di arrivare al passo e al laghetto di Limo. Siamo oltre i 2.000 metri e l’altitudine e l’orizzonte ci tolgono letteralmente il fiato. La vista è magnifica e da quassù lo sguardo spazia sulle Alpi, sulle valli e sul rifugio Fanes che doveva essere l’obiettivo finale. Per questa volta ci limitiamo a guardalo dall’alto. Per essere il primo giorno abbiamo fatto abbastanza. Decidiamo, con uno sguardo d’intesa, di risparmiare le forze. Si torna indietro. Domani ci aspetta un altro impegnativo cammino fino al Passo Giau, con lauta ricompensa finale: la sosta gastronomica da Aurelio. Gigi ci aspetta nel suo tempietto dei sapori locali. Dalle ampie vetrate si gode una vista altrettanto mozzafiato dell’Averau fino al massiccio del Sella e la Marmolada.

Questo articolo è tratto da CORTINA 2021 Regina dello Sport
Il libro dei Mondiali di sci alpino di Cortina d’Ampezzo
Morellini Editore

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