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#GIOVANNICAPRARA

La sostenibile leggerezza di essere (giornalisti)

AUTORE

Martina Strazzari

Giovanni Caprara è Presidente UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici) ed editorialista scientifico del Corriere della Sera, saggista, storico della scienza e dello spazio. A #CortinatraleRighe2022 racconta i cambiamenti degli ultimi 50 anni, tra scienza, giornalismo e responsabilità.

“La sostenibilità secondo me deve essere qualcosa di concreto. Ad esempio, per evitare gli sprechi si può rendere conservabile ciò che altrimenti sarebbe facilmente deperibile."

Negli ultimi 50 anni è cambiato il mondo, ma anche il modo di fare giornalismo. Come dovrebbe essere ristrutturata la società per affrontare il futuro?

Il giornalismo è uno strumento prezioso per far comprendere meglio il cambiamento epocale che viviamo e che implica una rivoluzione nel modo di vivere, pensare, lavorare. Una sfida straordinaria che, temo, lascerà dietro di sé molte vittime. Ogni transizione mentale richiede uno sforzo, e non tutti sono in grado di affrontarlo. Penso per esempio all’introduzione dei computer nei giornali: allora ci furono colleghi che rassegnarono le dimissioni, rifiutando di accettare il nuovo che avanzava. Io credo che rendersi conto di ciò che sta accadendo sia il primo passo. Il secondo è affrontarlo con responsabilità.

Anche la sostenibilità è una responsabilità, soprattutto sociale.

Parlare di sostenibilità oggi significa cercare (e trovare) modelli diversi di sviluppo politico, economico, tecnologico, e anche giornalistico. Ai giorni nostri i media non hanno ancora recepito completamente il mutamento in atto, nonostante sia sotto gli occhi di tutti. Serve un modo diverso di fare informazione soprattutto quando di parla di scienza e tecnologia; temi che diventando spesso materia politica. Il New York Times, per esempio, annovera nella sua redazione scientifica 24 giornalisti scientifici specializzati in vari ambiti. Nei nostri media invece vige ancora un approccio generico e un giornalista è chiamato a scrivere a seconda dell’occasione e delle necessità, di scienza di cronaca nera, di sport o altro. Così il giornalismo perde di serietà e di efficacia. Il giornalista scientifico è visto con distacco.

Quale traguardo UGIS ha contribuito a raggiungere nell’aggiornamento deontologico ed etico sull’informazione scientifica in Italia?

Fin dalla sua nascita nel 1966, UGIS – Unione Giornalisti Scientifici Italiani è impegnata nella divulgazione della cultura scientifica ai media e al pubblico e negli ultimi anni ha creato sinergie con vari Ordini regionali dei Giornalisti, enti, istituzioni e associazioni sulla formazione per i giornalisti. ll Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha integrato nell’autunno 2020 l’art. 6 del “Testo Unico dei Doveri del Giornalista” con le indicazioni elaborate nel Manifesto di Piacenza di UGIS (con la collaborazione dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna) dopo un lungo percorso di sperimentazione. Oggi siamo impegnati in un giro d’Italia in conferenze e incontri con gli Ordini dei Giornalisti locali per diffondere questi temi con l’obiettivo di estendere il coinvolgimento e far capire l’importanza di una appropriata informazione scientifica. Per affrontare il mondo della ricerca occorre una informazione qualificata e verificata. Occorre analizzare le fonti, anche internazionali, dare conto dei diversi pareri, evitare il sensazionalismo e segnalare i necessari tempi per ulteriori ricerche e sperimentazioni.

Nel secondo dopoguerra, col fiorire della cooperazione internazionale, cominciò a farsi strada anche la questione ambientale, alimentata dagli anni ’70 in poi anche da nuove opportunità di consapevolezza dovute alla crescita della società di massa e al valore dell’opinione pubblica. Quali sono state le conseguenze di questa nuova sensibilità dal punto di vista dell’informazione e della stampa?

Uno dei dibattiti più sentiti di quegli anni fu quello sul nucleare. A lungo si pensò all’atomo come mezzo del futuro, in un discorso che pian piano diventò sempre più politico e creò schieramenti, cosa che fu ampiamente commentata sui media. Negli anni ’70 le discussioni si spostarono sul ricorso alle energie alternative come il solare, mentre negli anni ’80 – insieme all’avvento dei personal computer e delle reti che avrebbero portato alla nascita di Internet – i primi satelliti trasmisero un dato allarmante: lo strato di ozono presente nell’atmosfera sopra il Polo Sud presentava un evidente assottigliamento che aumentava di anno in anno. Per trovare risposte sul da farsi, mentre gli scienziati indagavano il problema per poterlo affrontare si innescarono contrapposizioni politiche enfatizzate a seconda degli interessi. E il problema rimase irrisolto.

Le grandi conquiste dell’uomo, ma anche i peggiori disastri ecologici da esso causati, hanno cambiato la geografia dei giornali italiani. In che modo?

Negli anni ’60 eravamo tutti immersi dall’entusiasmo generato dallo sbarco sulla Luna. Sembrava la vigilia di un’epoca straordinaria, che fino a quel momento solo la fantascienza era stata in grado di raccontare. Ma la realtà era un po’ diversa. La corsa alla Luna non era il frutto di un cambiamento sociale o economico, ma la punta dell’iceberg del confronto politico estremo tra Mosca e Washington. Un’euforia, quella dell’allunaggio, destinata a finire presto e a lasciare il posto a grandi delusioni. Eravamo in piena guerra fredda. Quando il muro di Berlino crollò assieme all’Unione Sovietica la situazione internazionale divenne confusa. Alcuni fatti come la guerra in Iraq del 1991 determinarono un cambiamento nel presentare i fatti e nascevano i primi approfondimenti sugli eventi quotidiani. Anche il discorso ambientale diventò estremamente importante. Le Nazioni Unite organizzavano le grandi conferenze internazionali e la tragedia di Chernobyl sollevò dubbi pesanti sul nucleare. Tutto questo influenzò il mondo della comunicazione, che da quel momento in poi non fu più quello ante Luna, con tutte le sue meraviglie del possibile, ma un mondo consapevole dei limiti dello sviluppo.

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