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#VOCI

Davide Santer

AUTORE

Elena Tartaglione

Davide Santer è il “pastore capo” dell’azienda agricola che porta il suo nome. È uno dei rarissimi regolieri “nominati” – l’ultima volta che è accaduto era nel Settecento – nonostante sia ampezzano “solo” da tre generazioni: un riconoscimento che premia la tenacia e la coerenza del suo approccio. Inizia nel 1989 prendendo in gestione, insieme alla compagna Gloria, la Malga Federa, che trasforma in ristorante d’alta quota, e dopo un lungo percorso apre finalmente con la famiglia la sua attività di produzione, in località Lagunàsc. Qui nascono yogurt e vari formaggi come ricotte, stracchini e specialità come lo zigher, che un tempo era prodotto in tutto l’arco alpino dolomitico.

"Infine, l’attenzione per la sostenibilità si diffonde grazie alla cultura: è importante valorizzarla raccontandola"

Qual è la tua idea di sostenibilità?
“La sostenibilità è strettamente connessa con il benessere animale. Si tratta di migliorare il foraggio e in generale lo stile di vita dei nostri animali, senza considerarli solo in un’ottica di sfruttamento. Idealmente bisognerebbe tornare a lavorare come in passato. Un tempo, in assenza di trasporti, il commercio dei prodotti e dei mangimi avveniva in autarchia, gli allevatori in estate facevano i fieni per nutrire gli animali. Ma poi per abbassare il prezzo delle materie prime si è iniziato a cercare la produttività ad ogni costo.
In montagna queste logiche non attecchiscono con la stessa facilità. Ad esempio qui a Cortina abbiamo terreni integri, che non hanno conosciuto lo sfruttamento agricolo iniziato a partire dagli anni ’50: niente concimi chimici, mai. Perciò il fieno che produciamo per alimentare le mucche è eccellente. Fondamentalmente ciò che è sostenibile è anche semplice. Basta pensare alle etichette sulle confezioni o i barattoli di cibo: generalmente, meno ingredienti troviamo, più il prodotto è salutare.

Quali sono i tuoi comportamenti sostenibili?
“Ci occupiamo di allevamento biologico, siamo certificati “Latte fieno”: significa che alimentiamo le mucche con erba o fieno e non utilizziamo mangimi fermentati, gli insilati e i concentrati.
Questa differenza è sostanziale, e riassume il senso profondo del mio lavoro. Nell’allevamento intensivo si utilizzano mangimi fermentati, e perciò la produttività è molto maggiore – 40, 50 litri al giorno – ma di conseguenza gli animali devono essere abbattuti dopo 3 o 4 anni. Sono macchine da latte e si ammalano di continuo, le infezioni e le mastiti sono frequenti, e vengono curate con antibiotici che poi entrano nel ciclo alimentare. Le mie mucche – ne ho circa una ventina – vivono anche 12 o 13 anni perché producono 20-25 litri al giorno, una quantità ragionevole. Non si ammalano quasi mai: in due anni abbiamo fatto un solo trattamento. Camminano, si muovono, pascolano in veri prati.
Quando ci si prende cura degli animali si crea un rapporto simbiotico con loro. Ridurre la quantità a favore della qualità significa anche ottenere prodotti decisamente migliori. Il latte profuma di alpeggio, i formaggi acquisiscono caratteristiche e aromi unici, e anche le uova delle nostre galline – che alleviamo per uso familiare – sono speciali. Quando gli animali stanno bene migliora la qualità della vita anche dell’uomo”.

Infine, l’attenzione per la sostenibilità si diffonde grazie alla cultura: è importante valorizzarla raccontandola. Ecco perché il nostro progetto include, oltre al punto vendita fisso e al B&B, una fattoria didattica, per avvicinare le persone a questo stile di vita”.

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