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L’importanza del linguaggio tra diversità e inclusione verso le Olimpiadi e Paralimpiadi 2026

By 1. Juli 2022Juli 6th, 2022No Comments

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Atleti, comunicatori e giornalisti ne hanno dialogato ieri in uno degli appuntamenti di Cortina tra le Righe, il festival della formazione e dell’informazione in quota

L’evento olimpico (e paralimpico) è un’opportunità̀ per provare a radicare nella nostra cultura i concetti di diversità̀ e inclusione, attraverso l’accettazione delle differenze. Non a caso uno degli slogan di Tokyo 2020 è stato “Know the difference, show the difference”. Una sfida culturale che si ripercuote necessariamente nel linguaggio quotidiano e nella narrazione messa in atto dai mezzi di informazione, chiamati oggi ad una maggiore sensibilità e attenzione. Se ne è parlato ieri a Cortina tra le Righe, la settimana di alta formazione giornalistica che da otto anni anima l’estate ampezzana, nell’incontro moderato da Roberta Serdoz, caporedattore TG3 Lazio e presidente GIS.

“L’impatto mediatico di un evento sportivo è altissimo, nel senso che può plasmare l’immaginario collettivo. Lo sport ha la straordinaria capacità di cambiare il mondo. E quale settore è più inclusivo dello sport? – dichiara Francesca Vecchioni, presidente e fondatrice di Diversity. Nata nel 2013, Diversity è una no profit impegnata nel diffondere la cultura dell’inclusione, favorendo una visione del mondo che consideri la molteplicità e le differenze come valori e risorse preziose per le persone e le aziende. Ecco perché eventi come Olimpiadi e Paralimpiadi sono un prezioso volano per messaggi di diversity e inclusion. Messaggi non più di rivendicazione (si pensi al celeberrimo pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos) ma di affermazione. Messaggi che spesso partono proprio dal linguaggio.
“Il linguaggio inclusivo – prosegue Vecchioni – deve essere neutro sotto il profilo di genere, non sessista, rispettoso. La cosa migliore è sempre chiedere alla comunità di riferimento quali siano le parole migliori per indicare certi aspetti. Ad esempio: i ciechi sono ciechi, non ‘non vedenti’. Le lesbiche sono lesbiche, non ‘non etero’. E così via. È importantissimo far valere sempre il diritto di autodefinizione, ovvero il diritto di potere dire agli altri chi si è e chi si vuole essere. Attenzione anche a un certo tipo di narrazione: talvolta, nel raccontare eventi come le Paralimpiadi, le cronache tendono a essere pregne di pietismo, eroismo, paternalismo. Tutte cose da evitare”.

“Per quanto mi riguarda – dichiara René de Silvestro, sciatore alpino, ex giavellottista e pesista paralimpico, vincitore di due medaglie paralimpiche e due medaglie mondiali – non ho avuto alcun problema con la rappresentazione che i giornali hanno dato di me. Hanno sempre stato esaltato il gesto atletico, non il fatto che chi lo compiva è su una carrozzina”. Flavio Menardi, portacolori Bob Club Cortina, medaglia d’argento ai Campionati Mondiali di Lillehammer di parabob, aggiunge: “Se si parla dell’atleta o della sua prestazione si possono usare tutti i superlativi del mondo. Se le stesse parole sono riferite al fatto che chi ha ottenuto un risultato eccellente è disabile – perché si dice disabile – sono a disagio”.

“Forse abolirei la parola “diversità”, perché in fondo siamo tutti uniti sotto la stessa bandiera – ipotizza Danilo di Tommaso, responsabile dell’ufficio comunicazione e rapporti con i media del CONI in collegamento dai Giochi del Mediterraneo di Orano – Anzi, non la abolirei. Ma riformulo: siamo tutti uniti nelle diversità”. Con lui, in collegamento anche l’atleta Erika Furlani, altista, medaglia d’argento ai Mondiali allievi 2013 e campionessa italiana assoluta nel 2017. “I miei genitori, entrambi atleti, sono rispettivamente italiani (il padre) e senegalese (la madre). Io sono italiana, sono nata in Italia, ma il colore della mia pelle è stato spesso oggetto di etichette, sempre odiose. Lo sport mi ha aiutata a superare momenti difficili legati anche a questo”.